Utilizzo dei deposito Iva per differire il versamento IVA

Il deposito IVA è un luogo fisico, situato all’interno del territorio italiano, nel quale la merce è introdotta, sosta ed esce e può beneficiare di determinate “agevolazioni” dal punto di vista IVA. L’articolo di riferimento è l’art. 50-bis del D.L. 331/93 che disciplina le modalità di utilizzo ed i requisiti necessari per poterlo mettere in atto.
Il deposito IVA ha come obiettivo di differire il pagamento dell’IVA in quanto l’assolvimento della stessa si ha non nel momento in cui i beni sono introdotti nel deposito ma nel momento in cui vengono estratti (e non sempre).
Nel deposito IVA possono essere introdotti beni nazionali e comunitari. Di conseguenza, i beni extracomunitari potranno essere inseriti all’interno di un deposito IVA soltanto dopo essere stati immessi in libera pratica e pagato i dazi doganali.
Il maggior vantaggio e più percepibile per un’azienda che utilizza tale strumento, è il fatto che finanziariamente parlando si ottiene un differimento nel momento in cui l’imposta deve essere assolta; di conseguenza, ciò consente alle imprese di ridurre il ricorso al mercato del credito (qualora necessario), riducendo a sua volta gli oneri finanziari che possono pesare sulla stessa.

Cessioni di beni con introduzione nel deposito
Si tratta di operazioni di vendita di beni che non lasciano il territorio italiano, ma che sono eseguite nei confronti di clienti comunitari. Normalmente, poiché i beni non lasciano il territorio italiano, si tratterebbe di operazioni da assoggettare ad Iva in Italia. E’ dunque evidente il vantaggio di utilizzare i depositi Iva per tali tipi di operazioni, le quali non richiedono nemmeno la compilazione del modello Intra 1-bis.
In questi casi, quindi, non si tratta di operazione non imponibile (cessione intracomunitaria), bensì di “operazione non soggetta ex art. 50-bis D.L. 331/93”. Naturalmente, al momento dell’estrazione dei beni dal deposito, occorrerà, in base alla destinazione dei beni, assoggettare l’operazione al regime previsto.
Il soggetto acquirente comunitario non deve identificarsi ai fini Iva in Italia (nominando un rappresentante fiscale ovvero direttamente). Nell’ambito di tali operazioni, rientrano anche quelle contemplate nella lett. d) del co. 4 dell’art. 50-bis, effettuate tra due soggetti nazionali, ovvero tra un soggetto nazionale ed uno extraue, di beni normalmente trattati nelle borse merci ed introdotti nel deposito Iva.

Acquisti intracomunitari
Tale fattispecie comprende le seguenti operazioni:
• acquisti a titolo oneroso di beni eseguiti da un soggetto passivo italiano di beni provenienti da altro paese comunitario;
• introduzione di beni in Italia da parte di un soggetto passivo comunitario (tale operazione è infatti considerata un acquisto intracomunitario ai sensi dell’art. 38, co. 3, del D.L. n. 331/93, con obbligo di nomina di un rappresentante fiscale “leggero”).
La prima ipotesi fa riferimento ad operazioni di introduzione di beni comunitari posta in essere da un operatore italiano. In questo caso, egli integra la fattura di acquisto senza applicare l’imposta, facendo riferimento all’art. 50-bis. Tale fattura viene quindi annotata nel registro acquisti come “operazione non soggetta ex art. 50-bis D.L. 331/93”. La merce, proveniente da un altro paese comunitario, a questo punto, viene introdotta nel deposito Iva, corredata della fattura di vendita o da idonea documentazione recante i dati per l’annotazione sul registro di carico da parte del depositario. Nel secondo caso, valgono le stesse regole appena descritte, fatte le seguenti precisazioni: l’operatore comunitario deve innanzitutto nominare un rappresentante fiscale nel nostro paese (ovvero il depositario stesso, quale rappresentante fiscale “leggero”).

Immissione in libera pratica
Il regime doganale della “libera pratica” è regolato dall’art. 79 del codice doganale comunitario, secondo cui “l’immissione in libera pratica attribuisce la posizione doganale di merce comunitaria ad una merce non comunitaria”.
Da quanto sopra, quindi, si ottiene un triplice effetto:
• l’istituto della libera pratica consente di porre nello status di libera circolazione nell’area comunitaria (merci comunitarie) le merci estere, con pagamento dei soli dazi doganali e di ogni altra tassa ad effetto equivalente;
• l’immissione dei beni in un deposito Iva viene effettuata senza pagamento dell’imposta, purché l’intenzione sia manifestata all’atto della presentazione delle merci alla dogana di entrata;
• spostamento del momento in cui l’operazione assumerà rilevanza ai fini Iva all’atto dell’estrazione dei beni medesimi dal deposito Iva, ai fini della loro commercializzazione o del loro utilizzo in Italia.
La procedura consente quindi all’operatore comunitario di introdurre merci nella Comunità, evitando il pagamento immediato dell’Iva in dogana, con ciò risultando particolarmente vantaggiosa soprattutto per i soggetti che non possono vantare la qualifica di esportatore abituale, i quali possono utilizzare il plafond nei limiti dell’ammontare disponibile.
Nel caso di immissione in libera pratica di beni in dogana, l’introduzione presso i depositi fiscali segue il seguente iter procedurale: la merce, accompagnata da un documento di transito viene sdoganata. Nella relativa documentazione, deve essere specificato che la merce ha come destinazione l’introduzione in un deposito Iva. Quando il depositario accetta la merce e la prende in carico, sull’apposito registro appone l’attestato di presa in carico e il numero attribuito sulla bolletta. Copia di tale bolletta viene rimessa alla dogana che ha sdoganato la merce. La successiva estrazione rappresenterà un’operazione diversa a seconda della destinazione, dei beni: in questo senso potrà configurarsi un’operazione interna, comunitaria, ovvero un’esportazione.

Lo Studio BMM&Partners rimane a disposizione per maggiori approfondimenti.